vedendo i film ci si innamora..e io vedendo film mi sono innamorato di due strumenti musicali..inizialmente, vedendo e rivedendo "la leggenda del pianista sull'oceano" la tromba era diventata il mio sogno, sognavo di portarla ovunque, mi immaginavo in cima a un monte a suonarla mentre gli altri camminatori dovevano ancora arrivare..
poi "cotton club", e la cornetta tromba di richard gere mi ha fatto completamente perdermi per questo srumento meraviglioso..
e infine "canone inverso" (che insieme al primo citato e a patch adams sono tre dei film che più adoro) mi ha fatto innamorare del violino, quel magico strumento gitano tanto esaltato dai modena, quello strumento che sa parlare d'amore..
Questa è una storia di qualche tempo fa, credo due anni fa, sul violino..spero vi piaccia..
L’angolo tra la sesta e la settantaduesima era sempre ben illuminato, sarà per il pub “the gringos”, sarà per l’albergo a ore, sarà per la “one million dollar”, la banca dello stato del Massachussetts. Ogni giorno, sempre alla stessa ora, quando la linea dell’orizzonte si tingeva di un rosso fuoco, spaccandosi fra il mare e il cielo, un uomo, alto, con un cappotto verde lungo fino ai piedi, uno sciarpone sopra il colletto, una valigetta marrone dalla forma non regolare, arrivava fischiettando dalla sessantacinquesima, guardava ripetutamente a destra e a sinistra lungo la stessa, attraversava la strada, si sedeva su una panchina, proprio all’angolo, accanto all’internet-cafè. Srotolava la sciarpa, poggiandola con cura lungo le assi sconnesse della panca, sbottonava la giacca, un bottone, l’altro, fino all’ultimo, e la ripiegava dolcemente sopra la sciarpa. Apriva la valigetta, facendo scattare entrambi i lucchetti, prima il destro, poi il sinistro, sollevava il coperchio, tirava fuori uno straccio, color panna, sudicio, se lo appoggiava sulla spalla sinistra. Faceva tutto questo ogni giorno con la stessa ritualità, quasi una danza sacra, mentre tutt’attorno il mondo si fermava per osservare quei gesti quotidiani, ormai impressi nella mente di ogni passante, di ogni uomo delle vicinanze. Poi, con gli occhi luccicanti, estraeva un piccolo violino, castano, la chiocciola, intagliata sul cavigliere, scheggiata, le corde nere, consumate, la vernice saltata, solo un vecchio violino, solo un piccolo scrigno, solo un dolce carillon.
Iniziava una melodia dolce, di un mondo sconosciuto, impossibile a raccontarsi, il viso contratto per l’emozione, la mano decisa sull’archetto, le note si spargevano per le strade, i cani si zittivano, i bambini smettevano di piangere, uomini e donne si baciavano, stretti in una musica senza luogo e senza tempo, innamorati, felici di esserlo. Da un balcone, lungo la strada, pieno di fiori, garofani gerani, ciclamini, primule, una bambina, coi capelli rossi, un giaccone verdone, era in punta di piedi per vedere il suo cantastorie. Meggy, diminutivo di Marguerite, era proprio una piccola margherita, tutta rossa, un visino semplice, un piccolo cerchietto nero a metterle in ordine quei capelli tutto pepe, che tutte le sere apriva la finestra della sua camera, sorridendo verso un amico forse invisibile, si affacciava alle stelle, e volava sulle note di qualche canzone, presa da una brezza lontana, incurante del freddo pungente, delle urla della mamma.
Per strada, col passare dei minuti, una piccola folla si era formata presso quel citano, non straniero per quella gente, non un ladro, non un assassino, e la gente prendeva coraggio, come incitata, e iniziava a vivere, lasciandosi indietro le maschere, liberata da quella musica, magica, spariti i dubbi, sparita la tristezza, eppure presente, nelle note di quel fabbricante di sogni, che suonava passionalmente, per le donne felici, per i bambini, pronti all’avventura, per i sogni mai dimenticati, mentre intorno la gente balla e trova il tempo per sognare. Gli occhi presenti, le menti vaganti, i cuori volanti, il violinista suonava con una malinconica dolcezza, mentre quel suo piccolo carillon volteggiava nell’aria, trascinandosi note e note, suoni e suoni, storie e storie, vite e vite.
E quando distesa sul letto Meggy si cullava tra le ombre, che danzavano su quella musica gitana, che si intrecciavano alla melodia e la sconvolgevano, portando con loro storie lontane, di dame dal drappo azzurro, di castelli fatati, sognava di essere lei quella dama, danzava nel suo pigiamino rosa quelle favole, quelle sviolinate, e si ritrovava a vagare con il suo principe azzurro in mondi incantati, seguiti da quella musica, da quella dolcezza, si perdeva tra prati di margherite sotto cieli coperti di stelle, ringraziava quel violinista etnico di averla amata con la sua musica, dono di un sogno vivo, mai domo. E mentre Meggy sognava, il violinista, così com’era apparso, scompariva nel mondo, tra la foschia, verso nuove donne da amare e con nuove storie da raccontare, il cappello ben calcato in testa, nelle gelide notti stellate.
stamattina mi sono svegliato con tanta voglia di coccole..dovrò tenerla ancora per un po..ti amo principessa
1 Comments:
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